Torino, 11 Giugno 2014 – WAN-IFRA, uno dei più grandi meeting dedicato ai “potenti” del settore del giornalismo. Uno scambio di idee e strategie per continuare a tenere alto il valore dell’editoria nazionale ed internazionale. Un’occasione unica per mettere a confronto punti di vista differenti che condividono un obiettivo unico: fare informazione.
A catturare la nostra attenzione – si, vi diciamo in anticipo che questo editoriale è stato scritto a quattro mani – è l’intervento di Carlo De Benedetti, l’uomo a capo del “Gruppo Espresso”, pubblicato integralmente su “La Repubblica” questa mattina.
![De Benedetti attacca Google e... i blogger! [Editoriale] 1 carlo-de-benedetti](https://www.chimerarevo.com/wp-content/uploads/2014/06/carlo-de-benedetti-600x450.jpg)
![De Benedetti attacca Google e... i blogger! [Editoriale] 1 carlo-de-benedetti](https://www.chimerarevo.com/wp-content/uploads/2014/06/carlo-de-benedetti-600x450.jpg)
Un attacco piuttosto mirato allo strapotere che Google detiene nel mondo dell’informazione… ma che, a nostro avviso, sottolinea anche le insidie che una precisa “categoria sociale” rappresenta ad oggi per il mondo del giornalismo. Un intervento scorrevole sino ad un certo punto ma che, riletto tutto d’un fiato, ha davvero del contraddittorio.
Accusare – giustamente – “il sistema Google” per debellare – ingiustamente – insidie di altra natura, come fosse un “effetto collaterale”.
Capirete molto, ma molto presto.
Disclaimer: il presente articolo raccoglie i personali punti di vista degli autori e non vuole rappresentare verità assoluta ma uno spunto di riflessione. La trascrizione originale del discorso di Carlo de Benedetti può essere trovata qui.
Ho paura di Google
De Benedetti non si limita a battere i pugni sul tavolo e gridare “al ladro” verso Google, come le testate giornalistiche hanno lasciato trapelare. Il suo pensiero è forte ed è ampiamente condivisibile: qui semplicemente si chiede una maggiore trasparenza sul “fine” e l’utilizzo di centinaia di milioni di dati (dati intesi come informazioni) che vengono assimilati dal “sistema” Google, senza che essa realmente faccia giornalismo: essa è interessata solo a rivendere lo spazio per le sue pubblicità, i dati in transito sono solo un mezzo affinché questo accada.
Google però fa giornalismo “senza farlo”, guadagnando molto di più dei veri giornalisti grazie al suo incontrastato monopolio su ricerche e informazioni passanti per la rete Internet.
Possedere l’accesso alle informazioni in tempo reale è la forma di “nuovo giornalismo” più efficace, ma l’accentramento delle informazioni verso una sola entità (in questo caso Google) porterà inevitabilmente ad una forma di controllo, una nuova forma di potere in mano a pochissimi eletti.
Lentamente il modo di accedere alle informazioni sta mutando profondamente, ci stiamo trasformando: da una democrazia analogica (in molti tratti imperfetta) ad una “perfetta” oligarchia digitale.
In futuro i giornalisti (se questo scenario proseguirà) prenderanno solo le informazioni provenienti dal sistema, e quindi di riflesso da Google, senza che ci sia una verifica incrociata su più fonti e più “fornitori”: tutte le fonti digitali sono lì, su un solo sito, pronte ad essere usare per i nostri futuri articoli.
Oltre a un danno economico (tutt’ora in corso verso il vecchio giornalismo legato al mondo cartaceo) si verificherà un plausibile danno sociale, venendo meno le fondamenta del giornalismo classico (incrocio di più fonti provenienti da più fornitori).
È questo lo scenario che si prospetta: siamo pronti alle conseguenze? Ecco il motivo della “paura verso Google”, e vista in questi termini tutti noi un po’ di timore dobbiamo averlo, perché c’è il forte rischio di ricevere per “buone” ed “attendibili” (chi può certificarlo questo?) notizie con fonti provenienti da un solo fornitore, con il rischio concreto di instaurare una forte influenza dell’opinione pubblica, che crederà (illudendosi) di aver accesso ad informazioni “libere”.
Separare i business
De Benedetti descrive anche la giusta soluzione (quasi impossibile da attuare con i dirigenti Google attuali): separare il business della vendita di spazi pubblicitari dal sistema di gestione delle ricerche, così da offrire all’utente maggiore trasparenza “slegando” le autostrade digitali dell’informazione dai “pedaggi” (adsense) imposti ora lungo la via. Le informazioni in bit e il loro transito lungo le backbone mondiali sono la nuova forma di potere nel XXI secolo, non possono essere legate ad un business in maniera così stretta.
Il problema è “soltanto” Google?
Avete letto nei paragrafi precedenti che De Benedetti centra il punto riguardo lo strapotere di Google rispetto a quello che è il giornalismo di oggi, puntando senza mezzi termini il dito contro autorità ed accesso a Big Data che altrimenti non vi competerebbero.
L’arringa iniziale del capo de “L’Espresso” lascia ben sperare, si evince da essa una chiara volontà di abbracciare le nuove tecnologie e di adattarle a quello che è il giornalismo di oggi – qualcosa di simile a quanto N. Kroes suggerisce di fare riguardo alla questione taxi-apps.
Per quanto riguarda Google, la soluzione di gran lunga migliore ai problemi concorrenziali che abbiamo di fronte sarebbe di sottomettere i servizi di ricerca specialistica di Google alle norme che l’algoritmo della ricerca generale applica a tutti gli altri. Ciò potrebbe essere raggiunto sia con una separazione delle proprietà (un’antica e ben nota misura anti-trust) o con una separazione funzionale della attività di General Search da quelle dei Servizi e Ricerca specializzati, a prescindere da fatto che tali servizi e attività siano attualmente monetizzati direttamente. Questa separazione funzionale potrebbe essere raggiunta proibendo l’uso dei dati raccolti tramite un servizio a beneficio di un altro servizio della società.
Una opinione assolutamente ineccepibile: separare la ricerca “Generale” dalla ricerca specifica dedicata a quella che è l’informazione, permettendo di abbracciare nuove forme di monetizzazione atte a tenere in vita – visto il chiaro esodo della forma d’informazione, da stampato a pubblicato in rete – le classiche testate cartacee ed i corrispettivi online.
Tuttavia le battute finali dell’intervento di De Benedetti la dicono piuttosto lunga, lasciando trapelare un “secondo messaggio” che, seppure ben velato, suona maledettamente rumoroso.
«E tuttavia, vorrei leggere le parole che il mio predecessore Luca Caranenti, editore della Gazzetta di Mantova nel 1827, pubblicò nel primo numero di quell’anno… esse sono vere anche oggi:
“I giornali tendono, colle lodi debitamente compartite, ad incoraggiare il genio nascente, e con una critica severa e giusta si fanno a smascherare l’ignoranza, che appoggiata sui trampoli del ciarlatanismo e sui puntelli dell’impostura, tenta, con danno della società, di prendere un posto non meritato fra la schiera di coloro che resero servigi importanti”.
Ciarlatani ed impostori attenti: continueremo a fare il nostro lavoro.
Grazie mille.»
Secondo il nostro modesto punto di vista, capire chi siano i ciarlatani e gli impostori contro cui De Benedetti punta il dito è semplice, nonostante il vertice del più grande gruppo editoriale italiano – questa volta – non sferri un attacco diretto, anzi.
Si tratta nulla più nulla meno di quella categoria di… “professionisti? entusiasti? appassionati?” che cerca di farsi strada in quello che è il mondo dell’informazione senza però appartenere a nessuna delle testate giornalistiche nazionali o internazionali: i blogger.
Blogger? Ciarlatani. La “piaga” del giornalismo moderno
Riflettendoci un attimo, anche ribaltando il discorso di De Benedetti e guardandolo in una chiave un attimino più critica… ha senso: il blogger non ha l’obbligo di sottostare a fazione politica alcuna, non ha l’obbligo di sottostare alle imposizioni che un potenziale ufficio stampa induce a seguire, non ha l’obbligo di “far buon viso a cattivo gioco”. In pratica, il blogger – o “libero professionista”, come lo si definisce generalmente in Italia – non ha spesso obblighi scritti né morali di natura alcuna, il che lo rende potenzialmente un vettore di informazione senza controllo a priori.
E’ una mina vagante la cui esplosione potrebbe far male.
Senza ombra di dubbio questo ha i suoi pro ed i suoi contro: da un lato, l’avvento del blogging è servito a diffondere informazione spesso “censurata”, passatemi il termine esagerato, che alcune faziose testate old-style avrebbero ben volentieri tenuto nascoste per puro spirito nazionalistico.
Da un altro lato, come vi dicevamo in precedenza, la mente popolare potrebbe prendere per buone informazioni che, in realtà, sono state distorte per pura volontà del blogger in questione. Se ad esempio noi di Chimera Revo ci svegliassimo domani mattina e dicessimo che la fine del mondo è vicina, qualcuno potrebbe finire per crederlo davvero. Ancora una volta si tratta di una questione di coscienza.
«[….] Ciò potrebbe essere raggiunto sia con una separazione delle proprietà […]» In poche parole, agire anche attraverso un inasprimento sulle vigenti normative sul copyright che metterebbero in men che non si dica KO quella categoria fastidiosa che, ancora una volta, si pone nel mezzo tra l’informatore ed il giornalista.
Ritornando a noi, l’attacco velato-ma-non-troppo al mondo del blogging spiegherebbe il perché De Benedetti si scaglia contro Google, oltre che per lo strapotere pubblicitario e per le implicazioni sulla sicurezza, anche per non essere in grado di scindere il tipo di informazione offerta.
Il punto è uno: il blogger non porta liquidi al sistema di giornalismo italiano ma li dirotta direttamente in USA. Grazie a Google AdSense.
Promuovere la libertà… combattendola
Il web li fa, Google li informa e li finanzia pure grazie alla pubblicità. Un po’ come la storia della FAPAV, della FIMI e del Memorandum of Understanding firmato con Google. Con la differenza che, in quella occasione, non sono stati usati mezzi termini o giri di parole.
Adesso si. E anche piuttosto contraddittori: decentralizzare le informazioni togliendo a Google il potere del giornalismo – lascia intendere giustamente De Benedetti – ma al contempo eliminare i “ciarlatani” potenziali promotori di informazione non dirottata da obblighi e contratti.
Promuoviamo la libertà tagliandole le ali.
In perfetto stile “giornale fazioso”, permettetecelo.
A cura di Giuseppe Testa e Jessica Lambiase