Tasse non pagate, elusione fiscale, soldi che scorrono da un continente all’altro evitando accuratamente le autentiche “mazzate” fiscali di alcuni degli Stati Membri: è quanto succede ormai da anni per tantissime aziende ma è un problema che, con l’ascesa della rete, sta letteralmente invadendo le notti dei politici dell’intera Europa poiché ne sono coinvolti anche autentici colossi del “nuovo mondo tecnologico”.
Usufruendo infatti dei cosiddetti paradisi fiscali, ovvero tutti quei Paesi europei che applicano un regime fiscale contenuto ed assolutamente accessibile (vedasi Irlanda o Lussemburgo), i big come Google, Facebook, Amazon, Apple e tanti altri riescono senza problema alcuno – e soprattutto senza infrangere la legge – a portare i loro servigi a ciascuno Stato Membro, senza però dover sottostare alle regolamentazioni fiscali in atto in ciascuno di essi e rispondendo esclusivamente alle leggi fiscali dello Stato a cui fanno capo.
E quando, oltre alla parte politica, un approccio del genere va a mettere potenzialmente in pericolo autentici monopoli radicati ormai da anni – vedasi quello delle solite note del settore televisivo – la paura diventa più tangibile che mai ed anche chi apparentemente non dovrebbe aver nulla a che vedere con questa benedetta elusione fiscale fa sentire la propria voce, e cerca di far leva su un sistema politico che non riesce in nessun modo ad “arginare” le debolezze legali.
La voce è quella di Fedele Confalonieri, attuale presidente di Mediaset, che in una recente affermazione pubblicata da ANSA cerca di scuotere l’Italia affinché imponga la propria tassazione sulle big che offrono i propri servizi in Italia senza però passare dal via e depositare quel benedetto 22% di IVA sul fatturato:
Google, Facebook e Amazon, per non fare nomi, non pagano tasse in Italia: i paesi europei stanno reagendo, è una sveglia anche per l’Italia ed il nostro governo.
Un monito che vuole far leva sul popolo e sulla classe dirigente, mettendo in ballo il Dio danaro, ma che potrebbe nascondere una paura ancor più grande: in quello che è il processo di transizione tecnologica a cui stiamo assistendo ormai da tempo, l’interesse dell’audience si sposta sempre più verso la rete, abbracciando in pieno i servizi di notizie e streaming di contenuti accessibili in qualsiasi momento.
“Non in Italia” – direte voi ed in parte avete ragione, tuttavia vi siete mai chiesti il motivo? Si tratta prevalentemente di un limite strutturale collegato all’efficienza della banda larga, problema al quale tuttavia l’Italia sta cercando di porre rimedio rafforzando le infrastrutture sia per quanto riguarda la telefonia fissa che quella mobile.
In poche parole, è solo questione di tempo affinché il business “shifti” – come diremmo usando un anglofono italianizzato – dalla classica televisione al modernissimo web, colmo di informazione e servizi come Netflix e con quel valore aggiunto dell’ubiquità che la TV non ha mai potuto, per forze di causa maggiore, vantare.
Dietro questo cambio di trend c’è un giro di denaro e potere che in pochi possono immaginare, denaro che potrebbe letteralmente volatilizzarsi dalle tasche dei soliti noti – che siano la Rai e la stessa Mediaset, appunto – a quella dei nuovi sovrani dei mass media. Un giro di soldi che potrebbe in un tempo relativamente breve far sfiorire aziende che sulla diffusione televisiva hanno costruito il proprio impero e lasciarsi dietro una dirigenza che, per quanto comunque potente (la TV non morirà da un giorno all’altro, statene certi) potrebbe dover correre dietro ad una tecnologia troppo nuova rispetto alle vecchie personalità che sono radicate alle solite poltrone di pelle.
Confalonieri si augura che il governo “faccia seguire i fatti” a quanto affermato e che, con un po’ di impegno, riesca a far pagare il dovuto a tutte quelle multinazionali che grazie all’elusione fiscale hanno vita fin troppo facile.
Concedetemi un commento personale: Mediaset, Rai e chi per esse potrebbero rimodernarsi ed adattarsi alla transizione tecnologica espandendo ulteriormente le proprie piattaforme di servizi anziché rilasciare dichiarazioni simil nazional-populistiche per far leva sulla classe politica e soprattutto sulla popolazione… ma ciò richiede troppo impegno, giusto?