Dopo le nostre rubriche dedicate agli anni 70 e agli anni 80, chiudiamo il capitolo sulla storia dei PC parlandovi questa volta degli anni 90 fino ad arrivare ai giorni nostri.
Finiti gli anni 80 iniziò il declino degli home computer i quali continuarono comunque ad avere un discreto successo fino agli inizi della seconda metà dei 90, allo stesso tempo l’architettura PC IBM prese piede a scapito della stessa IBM.
Vediamo insieme quali sono i personal computer, più diffusi ma anche esotici, che ci hanno accompagnato durante gli anni 90, un viaggio più corto e magari meno entusiasmante rispetto ai floridi anni 80 ma che vale la pena percorrere.
Essendo un articolo di approfondimento abbastanza lungo, abbiamo deciso di dividerlo in più pagine in modo tale che la lettura possa risultare più piacevole e meno stancante.
IBM PS/1 2011 e 2121
Come avevamo già visto nell’articolo precedente, IBM aveva tentato di entrare di prepotenza nel mercato home consumer con il PCjr, macchina interessante ma tremendamente limitata da problemi di compatibilità con il precedente parco software dei pc IBM, limitazioni che ne segnarono l’uscita dal mercato in poco tempo. Nel 1987 IBM aveva lanciato la serie PS/2, una nuova serie ben fatta che introdusse la grafica VGA come standard ma, allo stesso tempo, plagiata da hardware proprietario IBM tra cui gli slot di espansione tecnicamente validi MCA e i dischi con interfaccia ESDI.
Nel 1990 IBM iniziava a sentire i colpi dei più economici IBM compatibili così prese ancora una volta la strada del PCjr e rilasciò l’IBM PS/1 2011, il primo di una discretamente lunga serie di PC IBM dedicati al mercato casalingo. Come il PCJr, il PS/1 si proponeva come un computer compatibile IBM casalingo, più economico e facile da usare, cosa in cui riuscì almeno in parte e sicuramente molto meglio del PCjr, tutto questo basandosi sull’hardware dei PS/2 e dei pc AT dello stesso periodo. Tralasciando le ultime versioni della serie PS/1, che non erano basati sui PS/2 come le primissime versioni bensì sugli AT, voglio parlarvi dei primi due modelli usciti tra il 1990 e il 1992, i PS/1 model 2011 e 2121. I PS/1 2011 e 2121 avevano rispettivamente una cpu 80286 10 MHz e 80386SX 16 MHz: il primo utilizzava 512 KB di RAM integrati su motherboard espandibili a 1 MB (ci sono voci che sembrerebbero confermare la presenza sul mercato per un periodo limitato di espansioni da 1.5 MB o 2 MB), mentre il secondo possedeva un minimo di 2 MB espandibili a 6MB.
Entrambi possedevano quasi le stesse dotazioni hardware e packaging, entrambi erano dotati di grafica VGA e di uno schermo a colori (piuttosto brillante e di qualità elevata, rare le varianti in B/W) con l’alimentatore del PC integrato al suo interno, tastiera meccanica con sistema buckling springs (tutt’ora famosa per il suo click metallico e comodità nelle fasi di scrittura), mouse due tasti, lettore floppy, hard disk 30 MB (opzionale), porta parallela, porta seriale (nel mercato USA al suo posto c’era un modem), scheda audio IBM (opzionale e rifacimento non compatibile dell’audio PCjr e Tandy e con l’aggiunta dei suoni PCM).
L’hardware, come già detto, era basato su quello dei PS/2 con la differenza che questo era tutto integrato sulla stessa motherboard e, al posto degli slot MCA (abbandonati in parte all’epoca anche dai PS/2), erano presenti i più diffusi slot ISA che non erano sulla motherboard ma venivano aggiunti attraverso un modulo optional che si agganciava alla parte superiore del case, mettendo a disposizione 3 slot con tanto di prese d’aria e ventola per la dissipazione. L’integrazione delle componenti fu di certo sia la croce che la delizia di questo PC: se da un lato queste prime versioni del PS/1 erano molto compatti, affidabili, smontabili facilmente senza strumenti e di facile messa in opera, dall’altro in caso di rotture dell’hardware (in particolare l’alimentatore integrato nel monitor) richiedeva obbligatoriamente l’assistenza della stessa IBM per la sostituzione di tutto il componente interessato.
Dal punto di vista software il 2011 e 2121 riconfermavano la volontà di creare un pc facile da usare: il sistema operativo era il PC DOS 4.01 (versione IBM del DOS microsoft) caricato su di una ROM sulla motherboard e che quindi evitava la scocciatura di caricare l’OS su floppy o HD (anche se rimaneva possibile farlo cambiando le opzioni di boot) e garantiva alla macchina continua operabilità anche senza la presenza di un HD o del lettore floppy.
Altra curiosità era la GUI integrata sulla macchina; essa consisteva in un quadrante che dava accesso all’IBM DOS (software per la gestione della macchina tra cui opzioni di boot e gestore file), a Microsoft Works 2.0 (in bundle con il PC), alla guida che illustrava e spiegava come utilizzare la macchina e sSftware il quale rappresentava sotto forma di schedari le varie cartelle delle unità (floppy ed HD) e permetteva di eseguire e trovare velocemente i file eseguibili (BAT ed EXE). In conclusione, le prime particolari versioni del PS/1 erano totalmente anomale nel panorama dei PC IBM e compatibili, contraddistinte da alti (il dos integrato in rom, la GUI e l’affidabilità) e bassi (la scarsa espandibilità senza ulteriori acquisti e la presenza dell’alimentatore nel monitor), vendettero un discreto numero di unità di cui oggi rimangono pochi esemplari cosa che ne fa insieme alla particolarità dell’hardware e del software un oggetto da collezione odiato ed amato allo stesso tempo, tanto da far sentire la sua mancanza e tanto da finire nelle classifiche dei peggiori PC IBM e compatibili esistenti.
Apple Macintosh LC
Apple era riuscita negli anni 80 ad introdurre nel mercato consumer un concetto nuovo, la GUI ma non riuscì pienamente ad affermarsi a causa dell’alto costo del suo hardware, della sua scarsa espandibilità e della incompatibilità del software con i precedenti computer. Nel 1990 Apple introdusse la nuova serie di computer, il Macintosh LC, serie destinata al mercato dei computer low-cost (nonostate il prezzo fosse comunque sopra i 3000$) e che mirava a spodestare l’imminente predominio dei PC IBM compatibili grazie anche alla compattezza del sistema definito per la forma del case “pizza box”.
Come i precedenti Macintosh anche la serie LC utilizzava i processori della famiglia motorola 68k: la prima serie di LC era dotata di una cpu 68020 a 16mhz e limitato ad un massimo di 10 MB di RAM e massimo 512 KB di ram video, in tutte le macchine vi era un HD da 30 MB (disponibile fino ad un massimo di 80 MB nel caso della prima versione di LC), il display di base offriva una risoluzione di 512×384 pixels con una palette di colori a 8 bit ma era disponibile anche un monitor da 640×480 pixels (l’unico in grado di visualizzare correttamente il software dei precedenti mac).
Le prestazioni erano notevolmente limitate da un bus a 16 bit invece che a 32 bit cosa che lo rendeva perfino più lento del Macintosh II di ben 3 anni prima, l’espandibilità era limitata al solo slot PDS il quale offriva un bus collegato direttamente alla CPU ed era solitamente utilizzato per la scheda Apple IIe, che forniva retro-compatibilità con l’omonima macchina. Nonostante le scarse prestazioni, questo PC vendette discretamente e vendette ancora di più quando negli anni successivi vennero rilasciati nuove versioni dalle prestazioni migliori e maggiormente espandibili: il Macintosh LC II (nuova cpu 68030 con MMU ovvero hardware dedicato alla gestione della memoria virtuale e non), Macintosh LC III (che finalmente reintrodusse il bus a 32bit) e, il modello più famoso della serie LC, il Machintosh LC 475 rilasciato nel 1993, il quale offriva una cpu a 25 MHz motorola 68LC040 e maggiore memoria video.
La serie LC utilizzava Mac OS dalla versione 6.0.6 fino alla versione 7.1.1 e 7.1.2 dei modelli più recenti, vi furono anche delle varianti all-in-one basati su LCIII e LC475 i quali offrivano generalmente frequenze di clock superiori.
Amstrad Mega PC
Con Amstrad ci eravamo lasciati con la serie CPC nell’articolo precedente riguardante gli anni 80. Anche amstrad, così come tanti altri produttori, dovette arrendersi alla marcia implacabile degli IBM compatibili abbandonando così gli home computers. Gli IBM compatibili erano generalmente anonimi e non avevano solitamente caratteristiche particolari ma Amstrad nel 1993 rilasciò un pc veramente particolare, l‘Amstrad Mega PC.
Dopo il rilascio del Mega Drive alla fine del 1989, SEGA inizio a sviluppare e mettere in commercio vari addons per la propria console e non contenta, pur di aumentare la diffusione della propria piattaforma, iniziò a cedere dietro licenza l’hardware del Mega Drive. Uno dei tanti “gadget” messi in commercio grazie a queste licenze SEGA è per l’appunto il Mega PC, un PC IBM compatibile che integrava al suo interno (su di uno slot ISA) un Sega Mega Drive, rilasciato nelle regioni PAL (Europa ed Australia) nel 1993. La parte pc di questa macchina includeva una cpu intel 80386SX a 25 MHz, 1MB di RAM (espandibile a 16), grafica SVGA con vram da 256Kb, un hd da 40 MB, lettore floppy 3,5″, schermo da 14″ sia a 13 KHz che 31 Khz (per garantire la compatibilità sia con il pc che con il MegaDrive) uno joystick analogico, mouse e tastiera ps2 e dos 5.0 in bundle.
Poco tempo dopo venne aggiornato e venne sostituita la motherboard con una più moderna e con CPU Cyrix cx486SLC a 33 MHz (clone dei 486 intel), accompagnato da 4 MB di RAM di base. Le specifiche PC non sono quindi nulla di eccezionale, rientrando nella media dei PC dell’epoca ed anzi iniziava già ad essere arretrato, con la CPU 80486 già diffusa e il pentium I in arrivo a breve.
Come è facilmente intuibile il pezzo forte del pc è la sua “dualità”, l’integrazione del Mega Drive ne faceva una macchina da gioco veramente interessante e vi era perfino un gamepad dedicato incluso (i connettori erano quelli della console standard). Purtroppo però non esisteva nessuna interazione tra le due piattaforme (come invece accadeva su di un pc simile IBM derivato dal PS/1, il Teradrive il quale fu rilasciato solo in Giappone), l’unico motivo per cui l’hardware SEGA si trovava su slot isa, era per la condivisione delle uscite audio e video, una opportunità mancata quindi dato che il Mega PC poteva rivelarsi un development tool del MegaDrive economico e per tutti.
Amiga 1200
A fare la fortuna di Commodore furono i computer economici (con la rara eccezione del PET) e non le macchine dedicate al mercato professionale (come amiga 1000, 2000 e 4000) che, pur vendendo numerose unità, non generarono gli introiti che davano il C64 e l’Amiga 500/600 ovvero le macchine dedicate al mercato consumer e budget. Nel 1987 Commodore aveva rilasciato il fortunatissimo Amiga 500 (o 600 nella riedizione di qualche anno dopo) il quale venne “finalmente” sostituito nell’ottobre del 1992 con l‘Amiga 1200.
Come il suo predecessore, l’Amiga 1200 si presentava con il classicissimo case a tastiera che integrava quasi tutte le componenti minime necessarie e connessioni e, cosa molto importante, offriva una tastiera completa adatta anche a lavorare… “ricordate le pessime tastiere clichet di qualche anno prima le quali avevano invaso il mondo home computer?”
L’hardware dell’Amiga 1200 era di tutto rispetto e forse anche il migliore nell’ambito dell’home computing non IBM compatibile: la CPU era un Motorola 68EC020 14 MHz a ben 32 bit, la RAM di base era di 2 MB (espandibile a 16 MB), il video (sia uscita RF che Composita) usava hardware dedicato (AGA) in grado di offrire 256 colori su schermo (8bit) alla risoluzione di 640×480 oppure, grazie alla modalità HAM, era possibile visualizzarne 4096 attraverso degli artifici di cui non vi parlerò. L’audio era identico a quello degli altri Amiga ed offriva 4 canali PCM a 8 bit (del tutto similare a quello di tutti gli Amiga), vi era integrato nella scocca un lettore floppy da 3.5″ compatibile sia con il formato Amiga che con quello DOS.
Le connessioni ed espansioni disponibili per l’Amiga 1200 erano molteplici: tra queste troviamo l’uscita audio/video (RF e composita), le classiche porte Amiga per mouse e joystick, la centronics a 25 pin, la seriale 232 sempre a 25 pin ed uno slot PCMCIA. Anche internamente la macchina offriva buone possibilità di espansione, era presente infatti un controller IDE a 44pin per i dischi da 2.5″ (anche da 3.5″ sono utilizzabili utilizzando un box esterno con un cavo apposito), vi era uno slot di espansione chiamato clock-port il quale era originariamente inutilizzato. Era infatti inizialmente dedicato all’aggiunta di un real time clock o a della RAM a 32 bit; fu invece sfruttato da terzi anche dopo il fallimento di Commodore e permise l’aggiunta di nuovi controller (SCSI e USB) ma anche schede CPU ed audio/video.
Grazie a tutta questa espandibilità, nonostante il breve periodo in cui l’Amiga 1200 rimase in vendita, il modding di questa macchina diventò una prassi quasi obbligata data la grande quantità di espansioni e miglioramenti che era possibile effettuare. Tra le espansioni più famose troviamo l’Amiga Zorro III, il quale permetteva di abbandonare il case classico del 1200 in favore di uno per IBM compatibili, aggiungendo inoltre un connettore edge (utilizzato in futuro per aggiungere porte PCI), una scheda con nuovi I/O tra cui le porte PS2 usate per tastiere e mouse IBM. Un altra espansione diffusa era la scheda Blizzard PPC (collegabile nello slot clock-port), la quale aggiungeva una CPU PowerPC economica (603e) due slot per ram a 72 pin fino a 256 MB e un controller SCSI. Oltre alle qui citate espansioni ve ne furono altre negli anni successivi i quali allungarono notevolmente la vita dell’A1200, permettendo l’aggiunta di hardware sempre più moderno.
I primi A1200 integravano su rom il Kickstarter 3.0 e permettevano l’utilizzo di Workbench 3.0, in futuro venne rilasciato Workbench 3.1 il quale però richiedeva il cambio del rom chip per aggiornare il kickstarter alla versione 3.1. Oltre a Workbench, previo upgrade del kickstarter e aggiunta di una scheda PowerPC, era possibile utilizzare il modernissimo (ai tempi) AmigaOS4. All’uscita l’Amiga 1200 costava nel Regno Unito 399£ e rimase in commercio fino al 1994 (anno del fallimento della Commodore) con un breve costoso revival fino al 1996 sotto il nome di un altra azienda che comprò i diritti dell’Amiga. Il fallimento di Commodore è da attribuirsi all’ascesa dei compatibili IBM i quali, se inizialmente erano minori o comunque alla pari nelle prestazioni della controparte Commodore, nel corso di pochi anni raddoppiarono le prestazioni e le capacità grafiche e multimediali mentre, i computer Amiga, rimasero indietro e relegate ad economiche macchine per giocare e non da lavoro. Si stima che siano stati venduti appena 1 milione di A1200, una cifra irrisoria rispetto ai fortunatissimi A500/600 e C64.
Atari Falcon 03
Il grande avversario dei primi Commodore Amiga era rappresentato dai computer Atari ST, computer dalle capacità similari agli Amiga 500 e migliore amico dei musicisti. Atari, dopo la crisi del videogioco dei primi anni 80, aveva tentato più volte di risollevarsi in questo mercato sostituendo la console Atari 2600 con ben due nuove console nel corso degli anni 80 ma senza riuscirci; fortunatamente i suoi home computer erano competitivi e questo portò nuova linfa vitale ad una azienda con grossi problemi finanziari.
All’inizio degli anni 90 però si ritrovò senza un nuovo home computer e presentò invece un personal computer per l’utenza businnes (Atari TT) il quale risultò fallimentare a causa dell’elevato costo, della mancanza di software (famosa la presenza della porta di rete AppleTalk che non ha mai avuto nessun software per poter essere utilizzata) e del target oramai invaso prepotentemente dalle poderose macchine IBM e compatibili. Fortunatamente, si fa per dire, Atari non stava dormendo e quindi iniziò a lavorare ad un nuovo home computer.
Dopo lo sviluppo di innumerevoli prototipi venne rilasciato nel 1992 l’Atari Falcon 030. Il Falcon, al primo sguardo, si presentava come il classico home computer all in one con la tastiera, il quale tanto piaceva alle utenze casalinghe del periodo desiderose di compattezza. L’hardware della macchina era come da tradizione Atari ovvero solido, piuttosto affidabile e sopratutto molto espandibile.
La CPU era una Motorola 68030 32bit a 16mhz e spesso era accompagnata da una FPU opzionale, anche il reparto audio era d’avanguardia grazie ad un processore dedicato (DSP) Motorola 56001 (in grado per altro di svolgere funzione di processore secondario per altre operazioni come ad esempio la decompressione jpeg) e alla presenza del vecchio Yamaha Y3439 necessario alla retro-compatibilità con gli ST. Il reparto video era dominato da un controller denominato VIDEL il quale permetteva una risoluzione di 640×480 (in PAL) a 256 colori (VGA) oppure a 320×240 a 65535 colori. Garantiva inoltre una grande flessibilità in questo campo grazie alla possibilità di personalizzare qualsiasi operazione su video, con la sola limitazione della velocità della RAM (da 1, 4 e 14 Mb) e della velocità della CPU. Su di una ROM vi era integrato il sistema operativo TOS ovvero il medesimo degli ST, mentre su floppy (1.44″ compabile pc) vi era il nuovo MultiTOS il quale era stato sviluppato specificatamente per il TT ed il Falcon e permetteva il multitasking.
L’espandibilità di questo home computer era piuttosto elevata, erano presenti molte connessioni tra cui: una porta scsi-ii esterna, una porta IDE 2,5″ interna, due connettori MIDI (in/out), una porta LPT (parallela), una porta DSP per connessioni audio digitali, due porte mouse e joystick compatibili con l’Atari Jaguar ed ST, una porta cartucce usata sopratutto per schede di espansione ed una porta di rete compatibile AppleTalk. Sulla carta abbiamo quindi a che fare con un home computer in linea con i tempi ed anche ben studiato, cosa andò storto quindi? Semplicemente Atari non credeva più in questo mercato, un anno dopo tolse dal commercio il Falcon 030 ed annullò lo sviluppo del successore Falcon 040 per poter dedicare anima e corpo all’Atari Jaguar… Inutile dire che era meglio se Atari rimaneva concentrata sul mercato home computing.
Acorn Archimedes A5000
Nel corso degli anni 80 l’Inghilterra era centro nevralgico dell’home computing grazie al continuo sviluppo di nuove macchine e alle forti richieste di mercato. Nei primi anni degli anni 80 persino la BBC si fece produrre un computer a proprio nome, il BBC micro, prodotto dalla Acorn Computers. Ovviamente Acorn non smise di produrre nuovi computer e arrivò a sviluppare anche una propria architettura (ARM) per la sua nuova serie di computer denominata Archimedes e rilasciata nelle sue prime incarnazioni durante il Luglio del 1987.
La serie Acorn Archimedes ebbe un discreto successo nella Gran Bretagna e trova il suo maggiore esponente nell’Acorn Archimedes A5000, rilasciato nel Settembre del 1991. Questa macchina si può tranquillamente considerare la punta di diamante dell’home computing, il prezzo non era di certo popolarissimo (variava tra le 999 e le 1499 sterline) ma, il rapporto qualità/prezzo/prestazioni, era sicuramente tra i migliori dell’epoca. L’ A5000 si presentava nella forma tipiche delle workstation e dei PC IBM e compatibili, con un case non esattamente compatto che conteneva l’hardware e con la tastiera separata.
Grazie ad Acorn oggi abbiamo l’architettura ARM (Acorn Risc Machine prima e successivamente Advanced Risc Machine), la CPU è infatti il fiore all’occhiello di questo computer e consisteva in un ARM3 32 bit a 25 o 33 MHz il quale era più performante dell’onnipresente serie Motorola 68k, presente sui computer casalinghi dell’epoca.
Dal lato grafico A5000 era in grado di visualizzare immagini VGA (256 colori contemporaneamente su schermo) fino ad una risoluzione di 800×600 pixels, incorporava un quantitativo di RAM da 2 a 4 MB, includeva un lettore floppy 3.5″ ad alta intensità (1.44 MB) compatibile sia con il file system Atari che con quello DOS, lo storage era garantito da un hd IDE da 20 o 80 MB ed infine l’audio era gestito dallo stesso coprocessore video (VIDC), permettendo di generare 8 voci sintetizzate contemporaneamente.
Era notevolmente espandibile grazie a ben 4 slot sulla motherboard e a numerose porte di I/O, tra cui la Centronics, la Econet (porta di rete proprietaria Acorn) e la seriale RS423 usata anche dal vetusto BBC Micro. Era presente un interprete Basic proprietario Acorn su ROM mentre il sistema operativo era il RISC OS 3.0 e 3.1, il quale risultò essere piuttosto avanzato ed in avanti con i tempi, offrendo multitasking ed un esperienza desktop similare a quella del futuro Windows 95. Dopo A5000 Acorn produsse altri modelli tra cui una versione laptop e varianti entry-mid level della serie Archimedes fino al 1994 quando introdusse il RISC PC, un infruttuoso tentativo di produrre una macchina molto più performante dell’A5000 e che fosse compatibile sia con RISC OS che con gli IBM compatibili.
Dopo una collaborazione con Apple per fornire hardware al suo palmare Newton, Acorn divenne l’attuale ARM Ltd.
20th Anniversary Macintosh
Dopo la serie Macintosh LC, Apple adottò le nuove cpu PowerPC producendo una miriade di nuovi computers chiamati Power Macintosh. Durante la metà degli anni 90 Apple riuscì a rimanere a galla a differenza degli altri produttori (Atari e Commodore) ma non fece di certo la parte del leone, basando infatti il proprio mercato su di una stretta nicchia di fedeli.
Nel Marzo del 1997 Apple mise in commercio un nuovo Macintosh in onore dei 20 anni di questa semi-fortunata serie, il Twentieth Annyversary Macintosh. Mentre la grande maggioranza dei computer dell’epoca presentavano un case sterile e solitamente grigio o beige, Apple propose questo computer con un aspetto moderno ed elegante, adatto anche ad un utilizzo da salotto.
La struttura del PC era all-in-one (schermo compreso) come quello di altri Mac, presentando però una forma estesa verticalmente su di un piede ricurvo, ed altoparlanti nello stile tipico delle TV. L’hardware era in linea con i contemporanei Power Macintosh: era fornito di CPU PowerPC 603e a 250 mhz, di una GPU Ati Rage II con 2 MB di vram a 800×600 pixels e 16 bit di colori massimo, un lettore cd SCSI posto frontalmente al case, un tuner FM, un HD da 2Gb, lettore floppy Apple, schermo LCD 12.1″ posto nella parte alta del case (è uno dei primi computer ad usare uno schermo LCD), tastiera 75 tasti con trackpad e altoparlanti con tanto di subwoofer firmati BOSE.
L’espandibilità del computer non era delle migliori; erano disponibili uno slot proprietario Apple dedicato esclusivamente alla scheda di rete Ethernet opzionale e uno slot PCI, esternamente vi era solo un connettore SCSI e una porta seriale proprietaria Apple. L’OS era una versione modificata di Mac OS 7.6.1 adattata all’utilizzo da salotto. Questo Macintosh venne lanciato sul mercato dopo un enorme campagna pubblicitaria, con tanto di presenza ben poco velata in numerosi film e serie TV.
Il prezzo di lancio fu di ben 9000$, una cifra veramente sconsiderata dato l’hardware e la presenza del praticamente identico Power Mac 6500 il quale costavai 2999$. Furono prodotti in totale 12000 esemplari che rimasero in commercio per un solo anno, vi furono per altro forti cali di prezzo nell’arco della commercializzazione che alla fine portarono il costo ad appena 1995$ nel Marzo del 1993.
iMac G3
Mentre oramai i compatibili di IBM facevano da padrone, un Macintosh faceva parlare di se e divenne uno dei simboli della fine degli anni 90 e dell’inizio del 2000, l’iMac G3. Jobs era tornato da poco in Apple e questo computer segnò in buona parte la rinascità di Apple. Si trattava ancora una volta di un all-in-one ma con schermo CRT e case colorato e traslucido.
L’hardware era ancora una volta basato su PowerPC e ricevette vari aggiustamenti e piccoli aggiornamenti nel corso degli anni. Inizialmente la CPU era una PowerPC G3 a 233 MHz ma venne upgradata a 333 MHz, la RAM inizialmente era da 32 MB ma nelle ultime incarnazioni si arrivò a 256 MB, la GPU era una Ati Rage 2c con 2 MB di VRAM la quale venne rimpiazzata da una Ati Rage Pro da 6 MB ed infine l’HD passo da 4 GB a 6 GB con possibilità di inserire un disco di massimo 128 GB.
Per quanto riguarda il resto delle caratteristiche, erano le medesime su tutte le incarnazioni: modem 56k integrato, lettore Cd 24x con carrello, schermo 13.8″ con risoluzione 1024×768, porta usb, porta infrarossi, porta fireware, bluetooth, wifi B e G ed ethernet 10/100. L’iMac G3 divenne il punto di riferimento sia per Apple che per tutti gli altri PC, fu infatti la base per i futuri modelli Apple i quali offrirono più o meno le stesse dotazioni e abbandonò tutte quelle porte proprietarie in favore di USB e Fireware, i quali diventarono de facto uno standard per tutti. Come era già stato anticipato il G3 divenne un simbolo del passaggio al nuovo millennio e fu in commercio tra l’Agosto del 1998 e il Marzo del 2003. Divenne un simbolo importante della cultura pop dei primi anni del 2000.
Il nostro viaggio nella storia del personal finisce qui. È vero, non ho trattato computer come ad esempio le Workstation NEXT oppure i G4 e nemmeno i portatili e gli ultimi Mac x86 ma, piuttosto, mi sono concentrato sui personal computer con una propria identità specifica, la quale li differenziava dalla marea di personal computer generici (in particolare PC x86 e PowerMac) presenti in questo decennio.
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento e forse, in un futuro non troppo lontano, l’argomento verrà nuovamente trattato parlando proprio del nostro decennio o di quelli a venire.